Oggi incontro l’enologo Benedetto Miggiano per parlare di vino. (Chi è l'enologo e cosa fa, l'ho già raccontato in un post precedentemente Ma cosa fa un enologo?). Oggi con Miggiano parleremo del vino a tutto tondo e man, mano che andremo avanti tra domande e risposte, sarà sempre più chiaro come il vino racconta molto di noi, delle nostre vite, delle nostre percezioni, del nostro sentire… E del resto quanti detti ci sono legati al vino dagli antichi ad oggi?
Buongiorno Miggiano, ci racconta un po’ della sua storia professionale e perché si è dedicato al vino?
Cercherò di essere il più conciso possibile. Nel 1949 la mia famiglia d’origine si è stabilita a Rovellasca, in provincia di Como, dove ha aperto un’azienda vinicola, ed è da lì che mio padre ha iniziato a trasmettermi l’interesse per il suo lavoro. Terminate le scuole medie, mi ha inserito alla prestigiosa scuola Enologica di Alba, dove ho trascorso i sei anni di corso con interesse, impegno e goliardia. Negli anni di scuola si è creato tra noi compagni un solido rapporto di vera amicizia e solidarietà, tale che dura tuttora.
Dopo questa esperienza di studi?
Ho iniziato la professione di enologo alle Cantine Carità di Milano, era il 1970, ma l’esperienza più completa l’ho capitalizzata alla Vinicola Di Luccio a Saronno, nella quale ho potuto seguire la lavorazione del vino dall’uva al prodotto in bottiglia. In seguito sono stato socio enologo presso cantine Losito e Guarini di Lentate. Ho vissuto una bellissima esperienza lavorando insieme ai titolari e, mettendo a frutto le nostre competenze, abbiamo raggiunto notevoli risultati. Quando la Losito e Guarini si è spostata in Oltrepò, io sono tornato alle cantine Di Luccio, e per breve tempo mi sono dedicato alla libera professione, in prevalenza seguendo aziende lombarde, tra cui la Vinicola Branca di Mariano Comense. Dal ’95 al ’98 sono stato direttore di una cantina sociale in provincia di Asti; approdando, infine, alla Casa Vinicola Verga di Cermenate come direttore della produzione e del personale, fino al 2014. Attualmente i miei interessi sono sempre rivolti al settore enologico, ma soprattutto dal punto di vista culturale e della ricerca.
In questi anni è cambiato il modo di produrre il vino. Come?
Sicuramente la tecnologia e le ultime scoperte scientifiche in campo enologico hanno rivoluzionato tutto il settore. È sparita la distinzione tra vini da taglio e vini di qualità. Tutto il territorio nazionale vanta vini di altissimo livello. Anche i regolamenti e la legislazione hanno operato in modo che il consumatore sia tutelato nell’aspetto igienico-sanitario e garantito nella qualità e originalità dei prodotti.
Commercialmente oggi, se si conosce il prodotto, si può comprare un ottimo vino a un costo appetibile. Anche se a volte pare che si confonda il prezzo con il valore reale del prodotto.
Come cambia la percezione del vino nel tempo?
Posso dire che il vino tra gli anni ‘50 e ‘60 era considerato prevalentemente un alimento. Serviva anche per coprire il fabbisogno calorico in un periodo in cui le attività erano soprattutto fisiche e dispendiose dal punto di vista energetico. Le famiglie patriarcali compravano il vino sfuso in damigiane da 30 o da 50 litri e il “vecchio” di casa aveva il compito di curarlo e imbottigliarlo per la famiglia. Con il boom economico è cambiato il consumo. Alla fine degli anni ‘80 il vino ha iniziato a essere acquistato già confezionato e a essere considerato come un alimento di prestigio: uno status symbol. In generale credo che sia una questione di gusto personale, soggettivo, che a volte si lega anche al proprio vissuto, a momenti e ricordi piacevoli.
E oggi?
Oggi il vino si degusta. Non mancano snobismi eccessivi e spesso si scegli il vino più per il nome che per reale soddisfazione. Io consiglio sempre di confrontare e assaggiare i diversi vini cercando di ascoltarsi.
Oggi ci sono molti programmi televisivi sulla critica culinaria, meno sul vino perché?
In tv si parla di vino come qualcosa che accompagna i piatti; si accostano alimenti e vini a seconda della zona di produzione, ma pochi sono i giudizi seri e competenti.
È difficile giudicare il vino?
Non è cosa facile giudicare un vino e ne ho avuto conferma ogni volta che sono stato invitato ai concorsi nazionali a giudicare i vini di ogni sorta. È molto difficile, ad esempio, valutare 11 o 12 campioni di Amarone in pochissimo tempo, poiché il vino ha bisogno di tempo per essere giudicato. Certo nell’immediato posso riconoscere errori evidenti, decadimenti, difetti, ma è difficile capirne il vero valore in così poco tempo.
Cosa dobbiamo aspettarci dal cambiamento climatico? L’Italia riuscirà a produrre ancora ottimi vini?
Questa è una grande preoccupazione. Diciamo che c’è una sfida in atto, ma che non conosciamo ancora quanto siano efficaci le armi di cui disponiamo. Sappiamo che il meridione ha da sempre vitigni e portainnesti resistenti alla siccità e che non siamo del tutto sprovveduti. Attualmente si stanno sperimentando anche vitigni più resistenti alle grandi malattie crittogamiche che possono avere risvolti molto positivi dal punto di vista ecologico. Vitigni più resistenti agli sbalzi di temperatura e alle malattie più comuni possono essere curati con meno sostanze inquinanti a beneficio della collettività.
Ultimissima domanda, l’Irlanda ha approvato una legge che impone di indicare sull’etichetta che bere vino fa male. Cosa ne pensa?
Penso che l’UE intenda trovare una via facile per affrontare un problema molto complesso; infatti, a mio avviso il problema dell’alcol riguarda tutte le bevande alcoliche e non solo il vino. A questo proposito ho letto recentemente su una rivista francese del settore che i francesi nel regolamentare il consumo dell’alcol hanno incluso anche la birra, i cui produttori dovranno evidenziare sulle etichette i nuovi parametri allineandosi al vino. Mi auguro che l’UE prenda misure giuste ed eque a tal proposito.